2 feb 2014

DO RE CIAK PULP

Recensioni musical-cine-letterarie, a cura del critico Vincenzo Crosta


Abbiamo incontrato Vasco Rossi dopo la malattia. Ha spaventato tutti, schiere di fans sognanti e medici devoti al proibizionismo. Ma ora Vasco è quello che conoscevamo e che abbiamo intervistato in lunghe notti insieme, al tenue chiarore di lampade orientali, persi dietro quella voce che è meglio, e più, di un cachinno scalda anime, di una carta vetrata da orgasmo, di una cavalla di razza che la vita ha ostacolato senza azzoppare.
 
Vasco tradisce la sua
affiliazione agli Illuminati
Vasco è gentile, sa che  gli  vogliamo  bene. Il nostro amore per  lui  nacque quando, ahimè, eravamo entrambi più giovani e correvamo dietro ad un sogno svolazzante, fosse una gonnella o una carbonara più espressiva di “My way”. Ci accoglie sereno, pacificato forse dai molteplici attestati di solidarietà e amore che ha ricevuto durante la degenza. “Caro Crosta, mi sento in forma, sicuramente più di te. Ti avverto che oggi la mia cucina è chiusa”.

Ci fa ascoltare un pezzo inedito, ormai sono le 14.15; lancinanti acuti ci scompensano la motilità dei succhi gastrici. Il brano scorre via lento, placido: è qualcosa di irriconoscibile, un lamento di note e parole che un po’ ricorda un Casatchok barocco L’esecuzione ci scava dentro un senso di vuoto (intanto si fanno le 15.00), fa esplodere sete d’aria. E fame, fame e basta. Azzardiamo un richiesta al nostro: musica per le fauci, un cornetto, un gianduiotto, un vago sentore di formaggio pecorino. Vasco è stanco, ci congeda e ci abbraccia. Sentiamo il suo respiro ancora arrancante, come un rantolo che promette la fine.
Siamo in strada: l’amicizia è una bella cosa. Anche le trattorie, quando aperte. E’ pomeriggio, le luci della sera si innalzano. Il nostro taccuino rifugge la commestibilità. Nell’aria riecheggia “Toffee” del grande Vasco.
Ma non abbiamo nemmeno una caramella, vaffanculo e alla prossima.
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Servillo ha studiato recitazione
al Marlboro's Studio
Annunciamo con orgoglio la candidatura all’Oscar de “La grande bellezza”. Sulle orme di Fellini, Sorrentino è stato capace di organizzare un affresco imponente sul vuoto e la perdita di certezze di una classe sociale persa tra noia, sfarzose feste e cene inutili, per quanto il concetto di inutilità di fronte ad una ben amalgamata amatriciana andrebbe forse rivisto.

Servillo, la Ferilli e Verdone compongono un trio dalla recitazione angelica, capace di porre lo spettatore di fronte ai propri limiti, ai propri dissidi.
Fa da sfondo una città dalla bellezza fatiscente, che decade senza preoccuparsi delle conseguenze, instabile e vivissima, traditrice e fedelissima al contempo.
 Siamo italiani ed allora gridiamo “evviva”. Detto questo, Sorrentino ci sta sul cazzo.
 ***
Arriva in libreria, nelle edicole, e per i più fortunati in poche, selezionate, rosticcerie, l’opera omnia di Suor Germana. Una delizia per gli occhi e per la mente, prelibatezze assortite, cibo dell’anima, salvezza per i deviati del Mc Donald’s.
Anche a Suor Germana non tutte le
ciambelle riescono col buco
Un libro così non si vedeva dai tempi dell’esistenzialismo cannibale di Sartre; Suor Germana srotola agli occhi di noi appassionati seguaci il rosario delle scelte gastronomiche, la responsabilità dell’uomo comune e borghese di fronte ad un cosciotto di pollo ben rosolato. 
Attoniti e grati, ci lasciamo trasportare dalle dosi sapientemente elargite ed esplicate.
Zucchero e sale, pinzimonio e conserve. Nulla sfugge all’ansia classificatoria di questa stronza vestita di bianco, responsabile delle nostre ultime analisi, dei segnali rossi sotto le voci “trigliceridi” ed “ipercolesterolemia”. Quando cadremo in coma diabetico, ricorderemo Suor Germana ed il suo impareggiabile candore traditore, al becchino che ci vestirà offriremo un ultimo rigurgito all’aglio marinato.
L’opera omnia di Suor Germana, da non perdere, per perdersi.





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